Giovedì del seminario

October 21st, 2010

Siamo già al secondo giovedì (ma terzo incontro) e ancora non vi abbiamo raccontato nulla. Io non sono portata temo alle sintesi concettuali quanto alle immagini che vi potrei dare. Se siete interessati ad approfondire puntualmente i passi avanti che abbiamo fatto, le discussioni e le posizioni, potete chiederci gli mp3 dei podcast (tutti gli incontri sono registrati) o venirci a trovare in via Caroli 12.

Per me, vorrei condividere l’entusiasmo di avere tra le mani qualcosa di radicalmente nuovo e diverso dalle esperienze che avevo fatto finora.

In questo post vorrei parlare del sabato in cui ci siamo incontrati per scambiarci i primi appunti sulle letture derridiane, in cui abbiamo messo a fuoco i termini di ciò che avevamo studiato per decidere poi al secondo incontro di ribaltarli da cima a fondo e iniziare, con quest’intesa alle spalle, un nuovo percorso. Era una lunga giornata d’autunno, luminosa e fresca. La ex-cappella appena imbiancata (che ospita il seminario) ci ha trattenuti per ore a confrontarci sulla nostra domanda verso il seminario. Fra le cose più belle che sono affiorate fra gli interventi e le riprese, ne vorrei fermare ed affermare una in particolare: in vari modi, molti di noi hanno ripetuto una ricerca, che la comunicazione fra i partecipanti, durante il seminario, riuscisse a uscire dai limiti stretti della quotidiana comunicazione performativa. In particolare, in riferimento a Joyce e al commento sul Finnegans Wake di Derrida, D. ha parlato di una continua ricerca, da parte di Joyce, di una comunicazione che non si risolvesse nei termini di una comprensione forzata e continua (“Ti amo, mi capisci?” “Voglio che tu mi capisca”) ma che riuscisse a comunicare altrimenti, senza la pretesa della digestione immediata. Nelle ultime pagine del suo libro, Derrida individua tre modi con cui Joyce riesce a raggiungere questa comunicazione non mediata: il sì, il riso, il profumo. Sono spiegazioni lunghe, che non posso riportare qui, ma di sicuro i termini in sé riescono già a dare l’idea del loro significato.

Senza per forza ricodificare di nuovo le possibilità di un’altra comunicazione, quello che con urgenza emergeva anche dalla lettura di Margini di A., o di Glass di F., o della “Carte Postale” di M., ma anche da Limited Ink e dalla Farmacia di Platone, è la ricerca di una comunicazione che si risolva altrimenti dal linguaggio abusato del quotidiano, che ci chieda un diverso impegno, attenzione. So che potrà sembrare banale in questi termini, ma è difficile riuscire a spiegare in poche parole (ancora parole, parole da post) la densità di questa domanda al seminario. Con cui chiudo questo post, ne avrò tanti altri da scrivere :-)

[written by Francesca Sironi]

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